Leo Strozzieri

Pensieri ed emozioni

Le tecniche adoperate dall’artista soprattutto nella contemporaneità per proporre il suo messaggio sono praticamente indefinite: ecco pertanto la necessità di conferire, nonostante forti remore da parte di critici e studiosi diremmo “tradizionalisti”, pieno diritto di cittadinanza nel panorama delle arti visive ad esperienze operative come quella della computer art, altrimenti denominata digital art. 

In pratica trattasi di elaborati eseguiti facendo ricorso al computer e quindi in forma digitale. Un’arte che nasce intorno alla metà del secolo scorso grazie alle sperimentazioni dell’americano Ben Laposky e del tedesco Manfred Frank, insigni matematici con alle spalle una forte simpatia per il razionalismo del Bauhaus. Assai vasta la possibilità creativa della digital art che pur potendosi servire in modo assoluto dello strumento computer, sovente è presa da altre fonti come la scansione di una fotografia o un'immagine disegnata con l'ausilio di un software di grafica vettoriale, usando un mouse o una tavoletta grafica.

 La disponibilità e la popolarità di software per il fotoritocco e la manipolazione delle immagini ha prodotto una vasta e creativa libreria di immagini altamente modificate, che hanno poco o nulla a che vedere con le immagini originali. Ciò premesso, va detto che in Italia è molto praticata l’arte digitale: qualche nome tra i più qualificati protagonisti, Stefano Cagol, Marco Agostinelli, Giuseppe La Spada. Con il compositore Piero Grossi, scomparso nel 2002, abbiamo anche la Computer Music, mentre Tommaso Tozzi è da ritenere uno dei pionieri della cosiddetta Net Art.                                                                                 
Tutto un fermento innovativo entro cui s’inserisce con grande autorevolezza Letizia Caiazzo che vede in questa tecnica un’efficace possibilità di esternare il flusso dei suoi precari equilibri interiori che via via assumono variazioni cromatiche in grado di significare emozioni e pensieri i più reconditi.
Grazie alla manipolazione del reale l’artista si trova in mano un dizionario senza fine con il quale eseguire opere che abbiano non solo e non tanto una semplice fruizione visiva, quanto piuttosto un valore gnoseologico ed ermeneutico del proprio io e del mondo in cui questo io, per usare una terminologia cara agli esistenzialisti, si scopre gettato nel mondo.

Certo le sue tavole conservano, e non poteva essere altrimenti vista la sensibilità dell’autrice, un feeling tutto particolare con il perimetro estetico nel momento in cui ci offrono frammenti lirici, bagliori luministici dalla suggestiva sospensione temporale, progetti per scenari sontuosi di sognante astrazione iconografica, forme oniriche dai contorni volontariamente destrutturati quasi simboli di anarchia costruttiva. Eppure sulle rievocazioni estetiche esercita un ruolo di assoluto dominio il messaggio sapienziale che all’incirca potrebbe così sintetizzarsi: nel mentre ci si affida alla manipolazione del reale si estrinseca l’enigma dell’essere. Le immagini in tal senso diventano specchio dell’anima. 

Tessendo la trama di ogni sua opera, Caiazzo esibisce i fili che sono a fondamento della trama d’una personalità forte, decisa, elegante e di raffinata immaginazione, fantasiosa ed estroversa, dinamica e sfuggente, futurista e innamorata della modernità, pur con passaggi obbligati alle rimembranze. Giganteggia nell’economia globale della ricerca artistica di Letizia fino a fuoriuscire in modo prepotente un originalissimo compromesso che va ricondotto alla suindicata terminologia di “precari equilibri”. Del resto è il compromesso che ha sempre afflitto in modo perentorio i grandi spiriti, a cominciare da Sant’Agostino, Dante e lo stesso San Francesco. Intendo parlare del duo eros-catarsi. 

La nostra artista è in grado di far convivere, indossando il mantello rosso del desiderio e con la stessa eleganza quello bianco della purificazione, il fango e la luce, che prosciugandolo lo destina definitivamente all’oblio. Sembrano le mie riflessioni intrecciate atte a far emergere un nodo gordiano inteso come metafora della personalità dell’autrice, in realtà si tratta di operazione inversa dacché i due suddetti assi, ovvero l’eros e la catarsi reggono il suo equilibrio che è maturità, talento creativo, cultura umanistica.

Letizia nelle sue opere si racconta: tutto diventa prezioso a cominciare proprio dai colori per lo più accesi, dall’inquadratura degli oggetti che le sono serviti da stimolo, dai particolari compositivi, dall’ambientazione delle scene, dalle pause di silenzi che rompono la monotonia della narrazione.
Il pensiero corre al perimetro ludico, perché a lei piace il gioco; forse la sua carriera di docente ha molto influito su questa attitudine, per cui nel manipolare le immagini, nel mescolare i brani iconici, nell’intrecciare relazioni tra soggetti diversi si sente ancora attrice di un laboratorio scolastico sempre affascinante nel suo suggestivo disordine. 

Nel gioco un ruolo determinante è riservato al caso. Sappiamo essere stata la casualità un cordone ombelicale di tutta l’esperienza informale e tale rimane anche nella computer art, nonostante gli sforzi d’un controllo razionale del prodotto artistico. Ma proprio in questo sta il fascino dell’atto creativo che sovente riserva sorprese allo stesso autore dell’opera.
Richiamando alla memoria l’Art Autre, il pensiero corre ad alcune opere astratte di Letizia Caiazzo che ritengo essere veri capolavori e che da sole sono in grado di dare un giudizio sulla sua bravura e sul suo talento indiscusso. Mi riferisco a Corpi, Prateria e Velo. 

Elemento comune a queste tre opere è il rapporto spaziale e cinetico con talune intersecazioni prospettiche. Nella terza poi , quella titolata “Velo”grazie al curveggiare aggrovigliato delle linee l’effetto spaziale si coniuga con l’effetto ottico della forma che viene avanti rispetto ad altre porzioni della superficie che indietreggiano. Siamo in alcune enunciazioni dell’optical art.

Parlando di spazio in pittura occorre ricordare come nelle tecniche tradizionali rilevante era il contributo della materia più o meno fluida (inchiostro, lapis, carbone, tutte le materie coloranti in genere). Nel caso in questione esiste invece una purezza assoluta dalla materia attivando una sorta di coincidenza con il mondo assoluto dei concetti o delle idee. Evocativa solo a livello mnemonico della materia l’art digitale si allontana dall’idolatria che gli informali avevano estrinsecato insieme ai dadaisti, rendendo così platonica la prativa artistica. Le tre opere citate vanno ricondotte a questo ordine di idee.
Quasi per par condicio, mi piace citare ora alcuni elaborati ove ridotta al minimo appare la dissociazione tra arte e icona: Mano rossa, Terra, Eros e cibo. 

Consapevole che le scenografiche visioni massmediali e metropolitane costituiscono ormai un cardine essenziale del sistema comunicativo, Caiazzo rende mitiche le visioni rinforzandone fino all’apologia l’aspetto cromatico dando un soddisfacimento ai bisogni iperbolici del fruitore. È questa una connotazione che dimostra quanto l’artista sappia leggere la contemporaneità. Del resto il fare arte non avrebbe senso se non calato nel proprio tempo con cui instaurare un rapporto empatico e creativo. Quanto Letizia sia à la page lo dimostra un’altra eccellente opera con la quale lei è entrata a far parte del movimento Esasperatismo fondato a Napoli da Adolfo Giuliani, ovvero Rinascita raffigurante un corpo femminile che fuoriesce dal bidone, emblema del citato movimento. Lo slancio del corpo femminile verso l’alto è metafisico oserei dire estatico, individuando nell’Estasi di santa Teresa del Bernini un insigne modello culturale.
In conclusione un’arte quella di Letizia fatta di sogno sì, ma non di evasione anacronistica dal proprio tempo, come lo si può dedurre anche dalle tematiche affrontate, quali quella paesaggistica, delle memorie nostalgiche di una storia recente, di figure e animali inseriti in ampie distese marine e così via. Indubbiamente una vitalità la sua che in un prossimo futuro continuerà a riservare non poche sorprese.

Un grande dell’arte figurativa del secolo scorso, Aldo Borgonzoni, scrisse parlando della propria ricerca pittorica : “La mia pittura è lieta e drammatica. Lieta nel senso della speranza, drammatica nel senso che coglie l’uomo nella pienezza dei suoi contrasti.” Mi pare proprio si evinca dalle opere più recenti dell’artista Caiazzo questa linea ermeneutica che a mio avviso si consoliderà maggiormente negli anni a venire. Da un lato lei è in ascolto del suo grido interiore che induce alla gioia di vivere, alla felicità che spesso trae linfa dai ricordi della fanciullezza vissuta in rapporto diretto con le meraviglie del paesaggio mediterraneo e della relativa apologia luministica, dall’altro non può non affiancare a questa necessità interiore di “perfetta letizia”, per usare una terminologia francescana, la consapevolezza dello smarrimento esistenziale e umanistico della contemporaneità.

 Tante sue opere sono specchio di questa sua posizione critica nei confronti dell’odierna società. Basti pensare ad opere come Disperata, Groviglio, Torpore, Il treno che va, Enigma, Non si è mai soli, ecc., per rendersi conto di quanto la nostra artista nei suoi scatti manipolati in chiave cromatica soprattutto, ma non solo, sia in grado di esternare il suo complesso vissuto realistico e il suo quotidiano. Lei però è convinta che la realtà non è il reale, non è la visibilità, ma la cosciente consapevolezza del reale che diviene organica all’autrice stessa la quale darà alla sua opera la dovuta autonomia.
 Queste le direttive formali alle quali Letizia, pur non essendo facile aderire visto che lo strumento fotografico per natura tende al reportage, è riuscita ad attenersi mediante una convinta adesione alle istanze a suo tempo postulate dal fauvismo e per quanto concerne l’origine strutturale dal cubismo. È proprio la simpatia per i fauves che le permette di dare una dimensione narrativa diversa alle scene raffigurate accentuando il diapason per lo più caldo dei colori. 

I suoi rossi magenta, i suoi blu, le sue squillanti e dinamiche scie cromatiche che solcano le superfici della tela e quella serie assidua di iridescenti fenomeni naturali sui quali spesso le piace concentrare l’obbiettivo, il tutto scandito con costanza e regolarità diventa più che una citazione, forse un programmatico omaggio all’intensità estrema delle “Bestie selvagge” immortalate da Vauxcelles. 

Leo Strozzieri
2011


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